di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
A pochi giorni dalla scomparsa di Milva, vorremmo ricordarla per quello che lei ha rappresentato nel panorama artistico musicale e teatrale, senza entrare nel merito della malattia di cui soffriva e che vorremmo restasse nella privacy della famiglia. La prima frase che viene spontaneo scrivere è “Milva è viva”. Non per l’anagrafe, ovviamente, ma lo è per la sua storia, per l’energia trasmessa, la forza delle scelte, la professionalità eccelsa, la tenacia, quella esuberanza di chi sa stare sul palcoscenico catalizzando l’attenzione, lo è per la notevole capacità interpretativa e il mettersi in gioco esplorando nuovi sentieri artistici e professionali. Lascia un vuoto enorme, Milva, e tutti ne sono consapevoli. Basti dire che nella sua carriera, lunga una cinquantina d’anni, si contano ben 173 album musicali, per non parlare del grande teatro, quello di Giorgio Strehler e infinite collaborazioni di talento, come con Franco Battiato.
Milva era nata a Goro e avrebbe compiuto 82 anni nel corso del 2021. La sua folta capigliatura rossa è stata, oltre che stimolo per l’appellativo – Milva la Rossa – un netto identificativo estetico, anche a ricordare l’orientamento politico verso il quale si è più volte espressa. A proposito di “La Rossa”, a molti non sfuggirà l’accostamento con Enzo Jannacci. Nel 1980 uscì un album di Milva con quel titolo, e i testi avevano la penna e l’estro di Jannacci. Il vero nome della Pantera di Goro – era il tempo di queste definizioni, così come Mina e Iva Zanicchi sono rispettivamente la Tigre di Cremona e l’Aquila di Ligonchio, senza dimenticare Orietta Berti, l’Usignolo di Cavriago – era Maria Ilva Biolcati. Curiosamente, sembra sia stato il sacerdote che la battezzò a consigliare ai genitori quel nome, Maria Ilva. La carriera di Milva si è naturalizzata ed espressa ben oltre i confini nazionali. Era praticamente di casa in Germania, dove aveva partecipato ad eventi e a molti programmi televisivi, ottenendo riconoscimenti e onorificenze, ma anche in Francia, Spagna, Sud America. I suoi dischi hanno raggiunto il bel numero di ottanta milioni di vendite, in mezzo mondo, compreso il Giappone.
La voce di Milva era particolare ed unica. Tecnicamente, voce da contralto con un vibrato riconoscibilissimo e personale. Il canto l’aveva “dentro”, era una vocazione che non poteva essere tradita, di quelle che hanno già un tracciato. Basta seminare. E per lei, dinamica ed efficiente, non fu complicato gettare i semi. Iniziò come Sabrina, esibendosi nei locali notturni e nelle balere. Poi la svolta, con il Sanremo del 1961. Il suo volto, la sua voce, quella chioma ch’era un distintivo, iniziavano a farsi riconoscere e già a metà degli anni Sessanta era una celebrità, forse più in Germania – paese che l’ha davvero amata – e in Francia che in Italia dove l’immagine restava collegata alle partecipazioni, tante, del Festival di Sanremo. Partecipazioni che non esaltavano il suo talento dovendo scegliere repertori più commerciali.
Parallelamente, c’era la Milva attrice, spesso con la regia di Giorgio Strehler, appassionata del repertorio di Bertolt Brecht. Molte sue interpretazioni teatrali e alcuni dei suoi progetti discografici, quelli più sentiti, sono dedicate alle opere brechtiane. Probabilmente, la Milva più intensa, più profonda, è in quell’ambito. Oltre alle incisioni dedicate al mondo brechtiano, un esempio su tutti “Milva canta Brecht”, ci sono i dischi di impegno. Ricordiamo “Libertà” e “Canti della Libertà” all’interno del quale c’è una sua versione di “Bella ciao”. E poi, una infinità di iniziative e collaborazioni a tutto campo, come quelle con i poeti greci, tra i quali il Nobel Giorgos Seferis. Chi non ricorda “Milord”, in omaggio al repertorio di Édith Piaf? Così come “La filanda”, versione italiana della canzone della portoghese Amália Rodrigues, e “Alexander Platz” con Franco Battiato tra gli autori. Dischi che l’hanno consacrata in tutto il mondo.
Potremmo andare avanti a lungo, parlando delle tante collaborazioni, tra le quali figurano Ennio Morricone e Alda Merini. Ma merita attenzione anche l’addio alle scene, avvenuto nel 2010, con un ultimo album, “Non conosco nessun Patrizio”, interamente scritto da Franco Battiato. Era tempo di riposo, perché “la speciale combinazione di capacità, versatilità e passione”, come lei stessa dichiarò, non erano più in quel mix magico che l’aveva contraddistinta, risentendo degli anni, ma anche di alcune problematiche di salute.
Mantenne fede, sostanzialmente, a quel proposito, restando in ombra e nel silenzio della propria casa, con pochissime eccezioni. L’ultima fu lo scorso anno quando partecipò ad una iniziativa, insieme ad altri artisti, di sensibilizzazione per l’emergenza pandemia. È uscita definitivamente dal mondo il 23 aprile. Ma la sua chioma rossa resterà nei ricordi di chi sapeva apprezzare quella passione così vera e intensa.
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