Pino Bartolomei e la fotografia del dettaglio d’arte

di STEFANIA PASQUALI –

FERMO – Una giornata dal sapore autunnale benché si sia ancora in piena estate, mi ha permesso un “casuale” incontro con il fotografo Pino Bartolomei. Lo accoglie, con la sua interessantissima mostra, la bella piazza centrale di Fermo. Questo spazio impreziosito da luci e ombre dei portici e la gente che vi si incontra, nuovamente riconquista la propria vocazione: la relazione nel suo integro significato e ruolo sociale. In galleria, non ci sono persone e questa opportunità mi permette di porre all’artista una serie di domande e personali curiosità.  È paziente Pino Bartolomei, di poche parole ma sa ascoltare con interesse e volentieri mi risponde. Non c’è foto che non abbia un’intrinseca bellezza che spazia dal paesaggio, ai vecchi mulini in parte ingoiati dolcemente dalla vegetazione spontanea di luoghi abbandonati, dai selciati di pietre antiche o dalle pavimentazioni rigorosamente allineate in linee apparentemente monotone. Per non parlare delle persiane di nobili palazzi o umili case, persiane rigorosamente serrate in squarci di luce mattutina oppure aperte del tutto o socchiuse che pare dialoghino fra di loro. Ciò che mi affascina maggiormente sono i particolari, i dettagli che diventano soggetti di primo piano come le rocce dei Monti Azzurri in misteriosi volti protesi al cielo, o gli “Occhiali” del lago di Pilato, le strade bianche, sinuose e ammiccanti di campagne quiete, assolate, morbide come materne carezze.

Che significa per lei fotografare?
Fotografare è saper guardare e saper selezionare porzioni di mondo. Essere capaci di raccontare quello che c’è attorno e che spesso non vediamo. I luoghi raccontano la storia del prima e azzarda ciò che potrebbe esserci dopo.

L’immagine della lattina di Coca Cola abbandonata nella neve ne è l’emblema. Come arriva alla scelta del dettaglio?
La selezione può arrivare al solo dettaglio visto come particolare che contiene e riflette un significante pensiero sia per chi ne è l’autore che per chi guarda.

Scegliere il dettaglio “giusto” non è semplice…
In effetti basta poco per riprodurre il banale e quando scelgo decido di estromettere un tutto tranne un solo elemento di sua appartenenza che sappia però tradursi da oggetto a soggetto.

Quando un dettaglio o una selezione di parti, funziona?
Funziona quando richiama altro. Le forme sono riconoscibili, fanno capire quel “tutto” a cui appartengono ma lasciano contemporaneamente spazio all’immaginazione anche attraverso forme stilizzate.

Quindi il dettaglio pur mostrando nitidamente qualcosa è in sé stesso elemento di completezza.  Le foto di Pino Bartolomei funzionano anche dal punto di vista compositivo: linee e forme appaiono “forti” danno l’idea della profondità spaziale. Sanno parlare, lasciano immaginare persone nei vuoti scuri di finestre socchiuse quando un tempo la conversazione si appendeva ai fili con i panni stesi fra vicolo e strade dei centri storici. Qualsiasi foto di Bartolomei concentra su di sé storie e sentimenti. Un immaginario infinito che si apre ai paesaggi, ai colori sapientemente scelti, alle forme morfologiche di valli e colline in scena naturali disegnate dai venti o dalla mano dell’uomo che sa custodirne integra la sua bellezza. Dal paesaggio naturale a quello “urbano” il passo è breve e la mostra si fa laboratorio per gli appassionati di fotografia e non solo, perché richiede un’attenzione che spesso non sappiamo esercitare. Occorre concentrazione, un allenamento utile anche nella vita, una sorta di caccia al tesoro. D’altra parte “Dio è nei dettagli”, come diceva Mies van der Rohe e scoprirlo è una forma d’arte.

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