di AMERICO MARCONI –
Erano decenni che non osservavo l’Albero del Piccioni. Lo immaginavo lontano dal nuovo asse stradale. Ogni volta che passavo in zona mi dicevo che l’avrei cercato. Ma una domenica di novembre, dopo Ascoli e le gallerie prima di Mozzano, ho la sensazione di essergli vicino. Vado più piano, e lui mi compare gigantesco sulla destra. C’è spazio per parcheggiare. Esulto di gioia, come quando si rivede dopo tanto tempo un vecchio amico. Scendo ed entro nello spiazzo che lo circonda. Tutto è in ordine, c’è una panchina per ammirarlo e un cartello che spiega. Con le foglie di tutti i colori che cadono, per me è una vera festa. E inizio a parlargli. Mia moglie ascolta sorridente.
«Ti ricordi» gli dico «quando da bambino andavamo con i miei genitori, in Fiat 500, ad Acquasanta per fare qualche giorno di terme? Mio padre Francesco, come ti vedeva, iniziava a raccontare di un brigante che rubava ai ricchi per dare ai poveri e si nascondeva dentro il tuo tronco». Leggo il cartello che spiega trattasi di un platano orientale, di 500 anni circa. Alto sui 25 metri, con la circonferenza del tronco di 9 metri e la chioma col diametro di 28 metri: un vero e proprio gigante. Mio padre diceva che era una quercia di mille anni e in tanti ancora lo credono. La sua particolarità, che è quella dei vecchissimi platani, è di avere una specie di caverna al centro del tronco. Osservo le foglie colorate che stanno cadendo: sono piccole, a punta e non palmate. I rami non portano appesi i frutti che dovrebbero essere pallottole spinose con lunghi peduncoli. Queste particolarità dimostrano che è un ibrido: molto più resistente degli altri platani ma sterile.
Torniamo all’età. Un aggancio storico al nome Albero del Piccioni può essere un documento risalente al marzo 1109 dove un tale Ranieri del fu Ferrone vendeva alla sorella Benedetta alcune terre “in locum qui dicitur ipsum platanum”. Perciò avrebbe sui mille anni, come sempre si è detto, e non i 500 calcolati dagli esperti. Il suo nome per intero compare su documenti del 1718, detto Albero di Picció proprietà di Piccione Parisani, nobile di Ascoli. Inoltre la tradizione popolare vuole che il suo nome sia legato a un brigante. Ma quale? Piccione di Paolo, brigante di Lisciano Colloto, braccato e ucciso a fine 1500, al tempo di Sisto V? O il più famoso Giovanni Piccioni? Seguiamo le tracce di quest’ultimo.
Giovanni Piccioni nacque a San Gregorio di Acquasanta nel 1798. Dal 1849 combatté a favore dello Stato Pontificio, comandante degli Ausiliari Pontifici. Con un manipolo di fedeli, tra cui i suoi figli, contrastò efficacemente l’esercito sabaudo, attraverso imboscate e una profonda conoscenza del territorio. Intorno al 1861 il generale Ferdinando Augusto Pinelli sbaragliò le sue truppe. A quel punto Piccioni si diede alla macchia e per i Piemontesi diventò un brigante. La fantasia popolare immaginò che il grande platano, con la sua cavità centrale, gli offrì riparo e divenne luogo di appostamento. Dopo l’unificazione, nel 1863, fu catturato a San Benedetto del Tronto. Processato, venne condannato ai lavori forzati a vita. Cinque anni dopo morì in carcere, nel forte Malatesta, ad Ascoli Piceno.
La vita e le gesta di Giovanni Piccioni, sono ancora oggetto di ricerca e racconti. Studiosi e scrittori appassionati, come l’amico Pietroneno Capitani, continuano a dargli voce. Le loro parole hanno la stessa freschezza e forza del maestoso albero. E suscitano incredulità, meraviglia, timore, simpatia, ricordi. Gli stessi stati d’animo che ho provato accanto al mio vecchio amico platano.
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