Auschwitz, quel dolore antico che non passa mai

di ROSITA SPINOZZI –

È una delle pagine più tristi dell’umanità. Una di quelle pagine che vorremmo non fosse mai stata scritta nel grande libro della storia. La Giornata della Memoria porta con sé un grande carico di dolore, orrore, morte, quasi incredulità nei confronti di tanta barbarie che riemerge nei raccapriccianti ricordi di chi è sopravvissuto e di chi mai potrà dimenticare. Ferito per sempre nel corpo e nell’anima. Il 27 gennaio si celebra il giorno che coincide con l’anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Si ricordano la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione nazifascista sfociata nello sterminio di undici milioni di persone, tra ebrei, rom, omosessuali, oppositori politici, testimoni di Geova, internati militari. È un giorno in cui riesce impossibile sorridere, in cui si sente addosso tutto il peso del mondo. E in questo giorno, ogni anno, penso sempre alle parole di Primo Levi (1919–1987), scrittore, partigiano e chimico italiano: «Devo dire che l’esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto. C’è Auschwitz, dunque non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco ma non la trovo». Penso a queste parole e ho paura, perché Levi ha ragione. Non è mia intenzione entrare nella sfera religiosa, né offendere chi crede, ma Auschwitz è la negazione di ogni bene. Con Auschwitz si tocca veramente il fondo, non può esserci redenzione alcuna per quanti si sono macchiati le mani di orrendi misfatti scaturiti da una ferocia, tanto folle quanto brutale, nella sua estrema perfidia.  Gli orrori della guerra, la vergogna delle leggi razziali, la violenta aberrazione del nazifascismo, l’umiliazione di un popolo, ma anche la forza di tante persone che hanno saputo resistere e lottare per la libertà fino all’estremo: questo ricordiamo il 27 gennaio. E dovremmo ricordarlo sempre, oggi e domani, soprattutto ai giovani per poter costruire una società priva di differenze. La memoria è molto importante in questo “processo” perché assume il ruolo di filo conduttore che lega le generazioni, facendo riemergere le testimonianze e le verità di quell’epoca, attraverso le quali possiamo insegnare ai giovani il valore della libertà, pace, tolleranza, equità sociale. Impossibile non ricordare lo sguardo di Anna Frank, quella dolce ragazzina fragile ma al tempo stesso determinata, che nella nostra memoria resterà per sempre giovane perché i nazisti non le hanno permesso di invecchiare, e la sua vita si è interrotta a 16 anni nel campo di concentramento di Bergen-Belsen in Germania. I suoi occhi implorano ancora oggi una speranza di salvezza. La Giornata della Memoria è triste, cupa, porta con sé il ricordo di un dolore antico che non passerà mai, porta testimonianze che non vorremmo mai sentire. Ma la Giornata della Memoria è necessaria. Per non dimenticare. Per coltivare la speranza. Per avere fiducia, nonostante tutto, nelle nuove generazioni.

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