di RAFFAELLA CIUFO –
Il Kintsugi è un’antica tecnica utilizzata da sapienti e pazienti artigiani giapponesi per ricomporre in modo artistico ceramiche e vasi andati in pezzi. Per rimettere insieme i vari pezzi viene utilizzata la particolare lacca urushi e polvere d’oro. Sono necessari diversi passaggi per portare a termine la riparazione definitiva, che richiede circa un mese di lavoro. Ne viene fuori un pezzo unico, con le sue “cicatrici” poste in risalto e impreziosite, con una propria e unica trama, che racconta una nuova bellezza.
Questa tecnica sembra risalga intorno al XV secolo, quando allo shogun Ashicaga Yoshimasa si ruppe la sua tazza da tè preferita e non volendo separarsene, mandò inizialmente la sua tazza rotta in Cina, chiedendo che gliela riparassero. Ma il risultato di tale riparazione effettuata da artigiani cinesi lasciò insoddisfatto lo shogun, che allora interpellò alcuni artigiani giapponesi, affidando loro il medesimo incarico. Questi artigiani studiarono per la tazza per la prima volta una nuova tecnica di ricomposizione, in modo da ricongiungere (“tsugi”) in modo tenace ma prezioso i vari pezzi, utilizzando una lacca particolare mista a polvere d’oro (“Kin”). Il risultato fu straordinario, la tazza da tè riacquisì nuova vita, non nascondendo ma mettendo in preziosa evidenza le sue fratture riparate.
A leggere metaforicamente il concetto alla base del Kintsugi, quest’arte suggerisce anche a noi di non vergognarci dei colpi e delle “fratture”, che la vita può infliggerci. Ci suggerisce con tenacia e orgoglio di ricomporre le nostre fratture, di non nascondere le cicatrici e di sopravvivere al cambiamento. Perché anche dal dolore si apprende e si cresce e si diventa persone più ricche in profondità, accrescendo la bellezza del nostro essere.
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