di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
Nei lontani ricordi d’infanzia non mancano quei locali, più o meno disadorni, essenziali nell’arredo e nell’estetica degli ornamenti, che completano l’architettura degli edifici religiosi. Oltre la chiesa: uffici, biblioteca e loro, i locali del catechismo. Chi non li ricorda? E chi non ricorda quelle signore più o meno giovani, dotate di buona volontà e tanta pazienza che tentavano di mantenere un minimo di attenzione in ragazzini svogliati per insegnare loro i principi e i fondamenti della religione? Ricordo bene, tra una distrazione e una sbirciatina a quella bambina sempre attenta e troppo – davvero troppo – preparata, che certe cose piacevano e facevano pensare, se non altro perché dovevamo impararle a memoria. Tra queste, le “virtù”, non tanto le teologali che quel termine strano “teologale” al bambino suona difficile e le virtù non pianamente comprensibili: fede, speranza e carità. Le impari e le ripeti come la poesia più corta del mondo ma, pur sembrando facili, non le capisci. Ma le altre si. Le virtù cardinali le capisci, o credi di capirle, e se non le comprendi ci rifletti sopra: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza. Beh, la prudenza la intuisci. Se proprio devi prendere qualche moneta dal borsellino della mamma occorre molta “prudenza”.
Ma poi ti rendi conto anche della giustizia quando il babbo ti dà lo scappellotto per averti sorpreso nel piccolo furto domestico. Occorre un po’ più di tempo per fortezza e temperanza. Per loro ti affidi alla catechista che ci prova in tutti i modi, prima con le definizioni ufficiali, come il libretto scrive, poi – un poco affaticata – ritenta con esempi pratici che non sempre le riescono anche perché, in fondo, qualcosa le sfugge. Ed è questo il punto più interessante: ci sono spiegazioni che non spiegano e tu ti incaponisci. Tu, che in fondo non sei il primo della classe – e ci mancherebbe pure quello! – quelle parole le vuoi capire. Ma poi hai la partita al campetto dell’oratorio, il pranzo dai nonni, poi cresci e non ci pensi più. Fino a quando… Capita che in una sera più spenta del solito, nel rifare ordine tra cose vecchie e nuove, quel libretto sgualcito, dalla copertina lucida con tanti disegni e con il tuo nome scritto con caratteri grandi, spunta fuori e attira l’attenzione. Lo apri a caso, ed eccole là, con la loro apparente ingenuità: le quattro virtù cardinali. E stavolta le vuoi interpretare per davvero, al di fuori dei recinti culturali.
La Prudenza non è l’attenzione furbesca che credevi da bambino, è qualcosa di decisamente ampio e vitale: è il “discernimento”, implica conoscenza, scelta e ponderazione. Occorre essere in se stessi e saper guardare con lucidità e correttezza. La Giustizia vive di rispetto reciproco, di riconoscimento del valore altrui, con la consapevolezza di sé. La giustizia ha bisogno di ascolto e osservazione, di disincanto e incanto al contempo, di passione che sa riprogrammarsi. No, non è facile la giustizia: l’Io e il Noi sono fortemente vincolati. La Fortezza, quella che non capivi al catechismo, ora l’hai afferrata bene, anche senza pensarci. Lo hai capito crescendo, affrontando impegni e progetti, difficoltà ed ostacoli. Senza quella “forza interiore” non avresti avuto la determinazione necessaria. Avresti abbandonato il campo in anticipo, avresti sofferto una sconfitta nel tuo profondo. Ma forza non è ostinazione ad oltranza, non è “uno contro tutti”. Non c’è Fortezza senza Giustizia e Prudenza, senza consapevolezza e la capacità di una visione che sa rimodularsi per non tradire quei valori. Arrivare non è semplicemente “arrivare”: è crescere, interrogarsi, conoscere. La forza sa essere generosa , è tenace ma non rigida. La Fortezza è una particolarità dell’anima che ha a che fare con l’armonia.
Nella Temperanza si chiude il cerchio delle qualità umane. Per essere forti, giusti e prudenti, occorre avere il controllo di se stessi, dirigere le proprie azioni coscientemente, saper cercare l’equilibrio. Non è – come potrebbe apparire nella dottrina – rinunciare ai piaceri ed alle passioni. Piuttosto è il saperli guardare con l’occhio temperante, dare loro uno spazio che si nutre di senso, sapendo riconoscere ragione ed istinto. È riflessione e contestualizzazione. Infine, la cosa più interessante, e di molto, è rendersi conto che in fondo non c’è principio né fine, che tutto ha radici più lontane e che i linguaggi si somigliano. In culture più antiche c’è la matrice di insegnamenti più moderni. È così anche per le virtù cardinali della dottrina cristiana che ritroviamo, sostanzialmente parallele, nelle “virtù” di Platone: Prudenza, Giustizia, Valore, Saggezza. Le qualità umane non hanno – e non potrebbero avere – confini culturali, geografici e temporali. Tantomeno gabbie dogmatiche. L’Etica è un mondo libero.
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