Il “rito” della Pasquella si rinnova ad Ascoli e provincia

di MARCO PIETRZELA –

ASCOLI PICENO – Come ogni anno ad Ascoli e provincia il 5 gennaio si rinnova il “rito” della Pasquella, una questua che rimanda a tempi antichi, quando la povertà e la fame la facevano da padrone soprattutto nelle campagne e nelle zone rurali. Si cantava casa per casa per avere qualcosa da mangiare o da bere: un uovo, un pezzetto di salciccia o di formaggio, un bicchiere di vino. Erano tempi duri e molte persone vivevano in gravi difficoltà. Col passare del tempo le usanze sono rimaste e i questuanti, armati di organetto, fisarmonica o chitarra, continuano a percorrere festanti le vie e le contrade dei paesi e del capoluogo con i caratteristici canti della tradizione.

La Pasquella, come altri canti di questua, (ad es. il Sant’Antonio o il Cantamaggio) segue un “ordine” ben preciso. Al cospetto della padrona di casa (vergara) inizia il canto con la parte religiosa: “… Su lu ciele ce sta ‘na stella che reschiara la Capannella lo’ dov’è nate lu Sante Messia. Bona Pasqua e Befania! … ”. Segue la richiesta di cibo: “Se ce da ‘mbuò de pa’ e saggiccia lu magneme tutt’a la spiccia perché sendeme strillà li vedella: l’Anne nuove e la Pasquella!” oppure di vino: “Se de vì ce da ‘nu becchiere lu beveme e chen piacere, a la salute de la chembagnia: Bona Pasqua e Befania!”.

Ora, se la padrona di casa è gentile e ospitale ed offre qualcosa ai pasquellanti, essi per riconoscenza cantano altri canti e per concludere suonano e ballano un bel Saltarello di commiato; ma se non ricevono nulla, allora intonano lo “spergiuro” gneriusce: “Tande chiuove ‘nchessa porta, tande diavele te se porta! Tande chiuove lla ssu mure tande ciecure lla lu cule! Tande ceppe che ‘na fascina, tande diavele te se trascina!”. Quindi attenzione, se i questuanti dovessero bussare alla vostra porta siate generosi.

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