di SARA DI GIUSEPPE –
30° Incontro Nazionale dei Teatri Invisibili, Direzione artistica Laboratorio Teatrale Re Nudo. Gli asparagi e l’immortalità dell’anima di Achille Campanile. Voci recitanti: Chiara Bellabarba, Piergiorgio Cinì, Rosanna Listrani, Riccardo Massacci, Andrea Mondozzi, Roberta Sperantini. Fisarmonica: Sergio Capoferri. Teatro dell’Olmo – San Benedetto del Tronto – 10 novembre 2024 h18
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Ci salutano così, “quelli di Re Nudo”, realizzatori del 30° Incontro dei Teatri Invisibili appena concluso: nel piccolo affettuoso Teatro dell’Olmo che è tutto loro, da loro creato e custodito negli anni, minuscolo atollo dove coltivare una specie protetta e a rischio come il teatro. Si congedano regalandoci allegria – l’umorismo un po’ folle di Achille Campanile – nel teatro oggi stracolmo, che sui muri sciorina le locandine degli “Invisibili” di questi lunghi 30 anni, quell’ ininterrotto festone tutto da riguardare, per ricordare, per sorridere…ti ricordi? ti ricordi?…
E oggi con Campanile (del quale perfino la data di nascita potrebbe essere uno “scherzo”, se è vero che non sarebbe nato nel 1900 – come volle far credere – ma un po’ prima, forse perché non gli piaceva – fu detto – essere considerato uomo dell’800) ri-scopriamo che si può ridere del nulla e di noi stessi, delle nostre manie, degli stereotipi, del conformismo, delle convenzioni, del nostro stesso linguaggio; che si può scherzare “sul serio”, giacchè il reale è così assurdo da non richiedere sforzo per estrarne il lato comico. L’umorismo d’altronde, già difeso da Pirandello nel saggio omonimo, vinceva proprio nei primi del ‘900 il pregiudizio accademico che negava dignità artistica al comico e lo relegava a rango minore nel panorama letterario.
Qui oggi, nei densissimi 60 minuti che ci incollano ai gradoni del teatro, sperimentiamo dialogo per dialogo, scena dopo scena, il meglio del Campanile “depistatore” del linguaggio, suo bersaglio prediletto. Gioca coi paradossi e i non-sense, l’umorismo di Campanile che funambolico maneggia le strategie dell’assurdo e risente dei procedimenti sintetici e dinamici tipici del teatro futurista (L.Lanna); che, soprattutto, prende il linguaggio per i fondelli (U.Eco).
Giacchè sono giochi di prestigio i folgoranti atti unici, le tragedie in due battute, i dialoghi stranianti; le parole volteggiano e ricadono giù trasformate, dopo aver disegnato labirinti di non-senso, rifiutato ogni ordine prestabilito, sovvertito i rapporti fra le cose e delle cose con il reale. Obiettivo raggiunto, complice l’abilità degli interpreti, se sbalorditi percepiamo il surreale nella banalità e nel conformismo, negli stereotipi della conversazione quotidiana, se le nostre vicende di “animali parlanti” ci appaiono all’improvviso mutate di senso e di contesto al solo cambiare di accento o di sillaba.
Un reale visto in controluce che può con nonchalance trasformare in schermaglia – tra il Cameriere e L’uomo e La donna seduti al tavolo – la banalissima ordinazione di un’Acqua minerale: in cui, per parossistica acrobatica deviazione di significati, minerale e naturale mutano di ambito fino a spostarsi sul piano esistenziale, divenire surreale disputa sulla collocazione giuridica di un figlio a seconda che sia “naturale” o “legittimo”, fino al conclusivo deflagrante acme nel quale “Mio figlio è minerale e beve acqua legittima!”.
Di straniamento in straniamento, a riportarci nel reale tra una scena e l’altra è l’ammaliante fisarmonica del maestro Capoferri; intermezzi di preziose suggestioni classiche ma anche scanzonate sottolineature, ironiche e discrete, del linguaggio scenico là dove quest’ultimo si fa naturale virtuosismo senza affanno ne’ spettacolo. Come ne La quercia del Tasso, vertiginosa sarabanda linguistica in cui financo la burocrazia capitolina è rappresentata in affanno nello stabilire la quota da pagare per la sosta del tasso sotto la quercia del Tasso, “Cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso, e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso”.
Dal trascinante assolo del tasso, all’esilarante coralità della Visita di condoglianze e oltre, il vorticoso deragliare di significati disegna una realtà parallela, dove sono soprattutto l’attendibilità della parola e la presunzione del linguaggio come decrittazione del mondo ad essere messe in discussione. Ed è, la realtà disegnata da Campanile, vicina in modo sorprendente al nostro tempo, alle dinamiche manipolatorie della contesa politica, all’inversione strumentale dei significati.
Proprio come ne La Rivoluzione, farsa che vede un funzionario imbecille (ma va’?) incapace di gestire il tumulto di piazza e alle prese con un braccio artificiale che, ingovernabile, scatta da solo passando meccanicamente dal pugno chiuso al saluto littorio (uguale al La Russa senatore nei disegni di Stefano Disegni) finchè, bloccato il braccio in posizione innaturale, verranno acclamati quel gesto e quella posizione come simboli di un nuovo partito e di una nuova idealità, quella che si attendeva, e con essi si acclamerà l’uomo del destino, il nostro condottiero, evviva evviva… Surreale ma anche no, se guardiamo al nostro tempo e alle dinamiche manipolatorie del dibattito, politico e non solo.
Cala idealmente il sipario che non c’è su questo spettacolo: i valentissimi interpreti hanno affettuosamente giocato col ricordo di un umorista saggio e profondo, “gioioso anarchico della scrittura”, prezioso nel nostro presente di imbarbarimento della parola scritta e parlata. Genio visionario, lo ha definito qualcuno, capace di “rendere significante ciò che in apparenza è privo di significato”; noi potremmo definirlo, a ragione, un genio naturale, forse anche minerale, sicuramente legittimo.
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