di GIAMPIETRO DE ANGELIS –
GROTTAMMARE – Ci sono paralleli che tornano. Erano gli anni ’70, sul finire, era una stanza disadorna, piccola e triste quanto basta, come spesso solo le stanze degli studenti. Quegli studenti che lasciano la provincia per sperimentare la vita universitaria in un’altra regione, in una città decisamente più grande e vitale. Era il tempo delle contestazioni giovanili, delle rivolte sociali, di un malcontento che però credeva nel cambiamento possibile. Era quel tempo lì, che ancora fatichi a scoprirti, a conoscerti, che sbandi tra un’idea e l’altra, che non sai – e non saprai – cosa davvero c’è nel profondo di se stessi e nelle cose, nelle persone. Era il tempo giusto per i classici, quelli francesi e tedeschi, ovviamente quelli italiani e i sudamericani. Infine, la letteratura russa, da Lev Nikolaevic Tolstoj a Fëdor Michajlovic Dostoevskij. Autori che aprono vie, allargano la visuale di un orizzonte sempre più ampio, cambiando i paradigmi, stravolgendo le convinzioni, annichilendo i luoghi comuni e le abitudini.
Passano gli anni, molti anni, e ti ritrovi a vedere uno spettacolo che non t’aspetti. O meglio, te lo aspetti, conoscendo l’ecletticità del maestro Vincenzo Di Bonaventura e conoscendo il protagonista, Simone Cameli, del gruppo teatrale Aoidos, ma ti sorprende per più d’una ragione. Ti sorprende per la forza che la recitazione trasmette al pubblico e che scorre come fosse cosa semplice, come se tutti potessimo farlo. Ma non è così. Simone è talmente naturale e spontaneo, da catturare l’attenzione di tutti dal primo all’ultimo istante della sua performance in “Delitto e Castigo di F. Dostoevskij” all’Ospitale di Grottammare, istaurando in sala un’atmosfera di complicità emotiva con i personaggi. Lo spettacolo è parte di un calendario ampio. La Rassegna teatrale è promossa dal poliedrico e magistrale Vincenzo Di Bonaventura con il gruppo teatrale Aoidos, organizzata e sostenuta con la collaborazione dell’associazione culturale Blow Up, con il patrocinio del Comune di Grottammare.
La scenografia è minimale, decisamente essenziale. E questo aggiunge vigore, dà forza alle parole e agli spostamenti sul palco. Simone Cameli si muove con la disinvoltura di chi è simbolicamente a casa sua, quella dell’espressione e della rivelazione. Dostoevskij,in quel suo viaggiare letterario tra bene e male, tra fede ed eterno dubbio, è stato magistrale nell’esplorazione della condizione umana in una continua analisi esistenzialista. E questo lo ritroviamo – lo percepiamo – nello spettacolo. Il gioco psicologico rimballa tra i due personaggi chiave, entrambi interpretati da Simone, ovvero Rodion Romanovič Raskol’nikov, con il suo bisogno di perdono ed espiazione, e il giudice istruttore Porfirij Petrovič, maestro di dialettica nel labirinto dei sottintesi, gestiti quest’ultimi come la rete che intrappola le contraddizioni e i turbamenti di Raskol’nikov, travolto dal suo travaglio interiore. Sullo sfondo interpretativo, c’è la Pietroburgo della seconda metà dell’800, il profilo di altri personaggi, le osservazioni critiche su certi miti storici, come Napoleone. Fanno da contorno, idealmente, la cultura e l’antropologia del tempo, le condizioni di vita.
A fine spettacolo, inevitabile il bagno di pubblico, tra applausi ed abbracci. E la promessa di un arrivederci.
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