Rubrica “Poesie e Racconti” del Graffio
“SAINT – DENIS” di GIAMPIETRO DE ANGELIS
Disteso a terra, e con gli occhi ancora chiusi, sentiva un indolenzimento diffuso su tutto il corpo, con un dolore più intenso al braccio destro. Confuso e infreddolito, avvertiva le zolle indurite e percepiva l’odore della brina. Lentamente stava rinvenendo. Aprì gli occhi con timore: davanti a sé una distesa di arbusti, mentre al di sopra il cielo appariva plumbeo, denso, con nuvole dalle forme estese, buie e cariche di elettricità. Cercò di accertarsi sulle sue condizioni fisiche. Il braccio destro era tumefatto, ma riusciva a muoverlo, pur con fastidio. Temendo per la schiena, provò a girarsi su un fianco e sospirò di sollievo. Le gambe, pur appesantite e anchilosate, rispondevano agli impulsi. Così anche il braccio sinistro. Dunque era sano, ma dolorante. Perché era lì, cosa era accaduto? Ma soprattutto: chi era?
Avvertiva un vuoto strano, la presenza di sé come un’immanenza che non trovava corrispondenze. Non ricordava il proprio nome, non aveva idea di chi fosse, cosa facesse nella vita, se aveva una famiglia, dei figli. Ignorava ogni aspetto di sé, il carattere, l’etica. La correttezza. Cercò di interpretare i dettagli. Aveva una tuta sportiva di qualità, con tessuti tecnici. Forse stava facendo trekking. Scorgeva alle sue spalle un piccolo dirupo dal quale probabilmente era scivolato. «Avrò battuto la testa, svenendo». Il cielo si stava ammorbidendo, con qualche diradamento che lasciava filtrare la luce da squarci d’azzurro intenso.
Poteva cercare di alzarsi, ma sentiva il bisogno di restare fermo, come a ripercorrere una strada che non scorgeva se non a brevi tratti, segmenti di vita in flashback lunghi e disadorni. Un’analessi impossibile. Nel buio dei ricordi, un giovane cane veniva incontro ad un ragazzino curioso e felice. «Papà voglio tenerlo» disse convinto. Neige, la piccola brabantina, gli tenne compagnia per tutta l’adolescenza, insegnandogli un amore mai più sperimentato nel corso degli anni. Questo lo ricordava bene, mantenendo una forza incrollabile nello stagno sinaptico.
Una leggera brezza, soffice e calda, muoveva le foglie tutt’intorno ed asciugava la brina. L’effluvio della terra gli diede lo stimolo per sgranchirsi, per quello che poteva, notando che il cielo era più sgombro di nubi in rapida dispersione. Sorrise, perché all’improvviso gli parve una buffa situazione, irreale ed affascinante, dove teatro e vita si confondono, e la stupida interpretazione dei ruoli scende dal palco inoltrandosi nei rivoli dialettici. La libertà, piena ed incolpevole, era tutta intorno, mentre un’imprevista folata di scirocco gli regalò un profumo intenso di rose selvatiche.
Lentamente si sollevò a sedere. Il cambio di prospettiva equivalse allo stupore della conoscenza del nuovo. Ed allo stupore seguì la sorpresa. Si scorgeva, oltre gli arbusti ed un piccolo bosco, una casa con il giardino dove sapeva perfettamente cosa avrebbe trovato: il roseto bourbon separato dalle corymbifere e le canine. Corse in quella direzione, pur impacciato dai disturbi muscolari, e mentre correva sentiva il bisogno di rallentare il passo. E i pensieri. Qualcosa non era al posto giusto. Qualcosa di un oggi che non doveva esistere. Non più, non così, non ora.
Nell’isola della Réunion, quel profumo lo conoscevano tutti. Il profumo di un roseto curato nei dettagli, arricchito nel tempo, che aveva ispirato pittori e fotografi dell’isola e richiamato la curiosità dei turisti. Un roseto dall’architettura esuberante e bizzarra, quasi surreale come fosse un’opera di Dalì. La fragranza era degna di quelle forme estese, entrava nella villa, si inoltrava nel boschetto e nei giorni di vento impetuoso, non rari, arrivava al borgo più vicino, nei pressi di Saint-Denis. In quelle occasioni, i vecchi pescatori dicevano “Oggi Henry danza alla luna” che poi, come frase, non significava nulla. Ma suonava bene.
Forse era stata Henriette a dirlo una prima volta. Probabilmente era sera, la luna appariva piena, il cielo era terso, il vento sostenuto e carico del profumo di rose lontane. Henriette, che tante ne aveva viste – e fatte – nella sua vita abbronzata e dalla pelle aggrinzita, se ne uscì con quella frase: «Henry danza alla luna stasera». Così si racconta. È quasi leggenda, è storia per bambini insonni. Tutto questo, però, era vent’anni prima! Non ora, non più. Con il tempo, dopo la morte inaspettata di Philèmon, le rose bourbon, ma anche tutte le altre, erano state abbandonate al loro destino. Senza le necessarie potature, progressivamente mutarono nella forma, perdendo ogni fascino ornamentale, e senza le adeguate attenzioni furono preda della peronospora ed altre malattie fungine. Non sarebbe stato difficile curarle restituendo loro la bellezza elegante ed originale. Ma Julius non lo fece. Nessuno lo fece.
Céline non superò la morte del marito, non elaborò il lutto, si lasciò andare all’indifferenza, ad una stanca ed improduttiva attesa. Julius fuggiva da quella quotidianità diventata insopportabile ai suoi occhi giovani. Usciva con Neige, fintanto non divenne troppo vecchia e stanca. In seguito da solo, con la sua sacca carica di libri, quaderni da appunti, matite colorate. Successivamente andò via per lungo tempo, quando morì anche la madre. In città dicevano che avesse una relazione, una certa Mariette. Così dicevano. Mariette viveva dall’altro lato dell’isola. Lui l’aveva raggiunta. Così si diceva, quando Henry danzava alla luna sempre più raramente. Poi Henry non danzò più, il roseto era praticamente un arbusto spinoso e secco.
Julius riprese a camminare verso la casa, dapprima lentamente, poi accelerando il passo. Il profumo delle rose si faceva più intenso. «Henry è tornato, ma come è possibile?». Gli venne da pensare, mentre il giardino era davanti ai suoi occhi ormai, a poco più di due metri. Un giovane uomo, sui venticinque, forse trent’anni o poco più, era nel roseto. Aveva le cesoie e lo stava accudendo, tagliando qualche rametto secco. «Julius!» Riconobbe se stesso. Julius – giovane – era molto preso dal suo lavoro di giardiniere hobbista e sembrava non accorgersi della strana presenza che lo stava osservando. Pose le cesoie sul piccolo tavolo, quello vicino alla fontana costruito molti anni prima dal padre Philèmon, ed andò a prendere il tubo dell’acqua per innaffiare.
«Julius», ripeteva tra sé l’altro Julius, quello che era fuggito da Mariette, che aveva lasciato in abbandono molte cose, che aveva lasciato seccare il magnifico roseto. Si avvicinò ulteriormente, toccò con la mano la cancellata che vedeva ancora bella con la lucentezza della vernice. Vedeva, ma sentiva diversamente. Mentre la sua mente gli trasmetteva un film muto, lui, con il tatto, sentiva la ruggine del ferro. E capì! Continuava a vedere il giovane di sé mentre innaffiava. Si sedette. Guardava affascinato, ma sbalordito, tra l’incredulo e il perplesso. Restò in silenzio per un po’. Quando Julius giovane fece per rientrare in casa, lo chiamò. Il giovane scomparve dietro l’antico portone, sotto il portico, rientrando nell’abitazione.
Fu allora che il Julius più anziano gli parlò, parlò a sé, aspettando che l’altro uscisse ancora. «Ci sono cose che non devi fare – iniziò con il dire – Ci sono cose che è bene conservare. Altre da sistemare. Julius, puoi farlo, sei ancora in tempo, sei giovane. Puoi ancora tutto. Al borgo ti vogliono bene, sei tu a non averlo compreso». Julius giovane non uscì più. L’altro, il più anziano, si alzò e riprese a camminare da dove era venuto. Solo cento metri dopo si voltò e s’avvide dello stato di abbandono. Il roseto era irrimediabilmente secco, le erbacce avevano ricoperto anche il tavolo e le seggiole nel giardino. Ogni cosa sapeva di spento. Di finito.
Iniziò a correre, si ritrovò al punto iniziale, steso a terra dopo la caduta, intontito e frastornato con un sapore amaro nei pensieri. Cercò di rialzarsi, aveva indolenzimenti dappertutto ma in fondo stava bene, non aveva lesioni. Lentamente, quello strano sogno gli tornò in mente. Lentamente rivide tutto. Guardò se stesso, le proprie mani, quelle di un giovane uomo di trentadue anni. «Il roseto deve mantenere il proprio splendore. Henri deve continuare a danzare alla luna». Tornò a casa. Una Neige ancora in forma avrebbe fatto salti di gioia. E lui con lei.
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